Un legame viscerale, quello tra Alessandria del Carrettto e la natura che la circonda. Più viscerale che altrove. Causa un matrimonio d’antichissima data. E che ogni anno – a primavera – viene ri-celebrato con riti, gesti, parole identici e mai dimenticati.
Alessandria del Carretto si trova in Calabria, nel Parco del Pollino. Calabria di montagna, dunque. Dignitosissima montagna. Il paese è abitato da meno di cinquecento persone. Gli inverni sono lunghi e silenziosi da queste parti, almeno in superficie. Ma quando viene maggio. Beh… c’è il risveglio, no?
Il piccolo mondo di Alessandria del Carretto non sarebbe lo stesso senza i suoi alberi. Forse non esisterebbe nemmeno. Perchè questa comunità di resistenti sopravvive anche grazie a un collante eccezionale quale è la festa della Pita.
A grandi, grandissime linee, la festa prevede queste tappe: gli uomini salgono in montagna a scegliere l’albero da abbattere. Poi l’albero – lo sposo – viene trascinato fin dentro il paese con delle tire, cioè pertiche attaccate al tronco tramite anelli chiodati. Per legare le tire agli anelli vengono utlizzate delle corde costruite direttamente sul posto sfruttando rami di alberi selvatici. Sono passaggi importanti questi: non si tratta di semplice tecnica. Ma di gestualità. Ciascuno di questi gesti richiama un gesto analogo di un vecchio mestiere. Il mondo arcaico del lavoro è continuamente evocato. Così come la struttura sociale su cui quel mondo posava.
La grande discesa dell’albero dalla montagna impiega gli uomini di Alessandria del Carretto – e solo gli uomini – per quasi dodici ore. Canti, balli, suoni. Vino. La discesa è una festa. C’è la fatica e c’è il lasciarsi andare a una sorta di baccanale. Il sacrificio dell’abete abbattuto sul monte Pollino serve a propiziarsi la primavera, se lo si vuol leggere con occhi pagani. Serve invece a ingraziarsi sant’Alessandro se lo si vuol rileggere con strumenti cristiani (la festa si svolge infatti ai primi di maggio).
Nota a margine per chi di riti e pre-religioni ne capisce: nell’antica Roma a fine marzo si celebrava la festa del pino sacro. Mentre cembali e tamburi suonavano e risuonavano, i sacerdoti si scatenavano in una danza sfrenata.
Ma non si voglia leggere in questo rito dell’abbattimento dell’albero e del suo trascinarlo fin sulla piazza del paese un atto contro la natura. Al contrario. Per trasportare l’abete giù dalla montagna ci vuole forza. Come a doversi riconquistare ogni anno il rispetto della natura. Una specie di dialogo con le montagne, le nuvole, la pioggia, il fango. E gli uomini di Alessandria del Carretto dimostrano di sapersi sporcare le mani di terra. Di saper faticare. D’essere abituati a confrontarsi con la Natura.
Quando l’abete sta per mettere piede in paese, spunta fuori anche la sposa: la cima di un albero più piccolo. Bisognerà celebrare il matrimonio tra i due. Ma questo avverrà solo una settimana dopo: il 3 maggio, giorno di sant’Alessandro.
L’innesto, il matrimonio tra i due alberi è il momento finale. Una volta uniti, i due tronchi – diventati un’anima sola – vengono innalzati. Ed è – anche questa – una cerimonia lenta e rigorosa. Due, tre ore, se tutto va bene. Strumenti arcaici e forza collettiva sono le sole tecniche permesse. Sofferenza e tensione. Fino al momento in cui il tronco può dirsi di nuovo albero perchè torna a sfiorare l’azzurro.
Ecco, la storia fin qui raccontata è veramente un riassunto grossolano di quel che accade ad Alessandria del Carretto i primi di maggio. Vederla lì, in quella terra, ai piedi del Pollino, sarebbe l’unico modo per capire quanta anima e quanto passato ci sono in questa festa. Bisognerebbe sentirne i suoni, gli ordini, i canti, finanche le male parole.
E poi bisognerebbe riflettere sull’equivoco. Il secondo significato che si legge tra le righe di questa festa. E di tutte le altre. Natali e Pasque comprese. Il matrimonio dell’albero non avrebbe nulla a che vedere con l’omaggio alla natura, il risveglio della primavera, eccetera eccetera. L’abete tagliato starebbe piuttosto a simboleggiare il martirio del santo (Alessandro). Festa cristiana dunque. L’equivoco di tutte le feste.