Là dove le viscere dell’Aspromonte sono cariche di memorie dolenti incontri una Calabria che non t’aspetti. Una Calabria che non diresti tale. Ti imbatti in una lingua che non conosci nè riconosci. E non è un dialetto. Nè è un parlar “stretto”. I canti antichi di questa Calabria – che qui non certo per caso assume il nome di Gallicianò – s’innestano su una musica che sa di altrove. E quell’altrove lo ritrovi su altre coste del Mediterraneo che non innalzano la bandiera italiana.
Gallicianò è una frazione sperduta sulle montagne. Qui non ci si arriva mai per caso, talmente aspra e isolata è la strada. Se metti piede a Gallicianò è perchè questo posto l’hai testardamente cercato e voluto, identificato come meta.
A Gallicianò parlano una lingua che è greca, non è calabra. Greco antico, o giù di lì. La comunità di Gallicianò è un baluardo dell’identità. Una fortezza dell’anima. Una briciola dell’Aspromonte caduta giù dall’Olimpo greco. La particolarissima lingua “masticata” dalle famiglie di queste poche case sopravvive con una tale ostinazione che fai quasi fatica a spiegarti. Eppure anche Gallicianò rientra in una mappatura dell’Italia delle minoranze linguistiche che in pochi hanno studiato, e di cui invece andrebbero approfonditi storia e genesi, ma soprattutto capacità di sopravvivenza.
La frazione di Gallicianò è come se fosse rimasta sotto una campana di vetro dai tempi della Magna Grecia. Un vetro che si incrina ogni volta che qualcuno – giovani soprattutto – se ne parte da qui. Lasciandosi alle spalle la barriera – la gabbia? – dell’Aspromonte.
Per i romani era Gallicianum. Per i greci era Galikiànon. Non è facile immaginare un futuro qui. E non è facile immaginare il futuro di questo posto. Eppure, qui si può parlare di resistenza. La lingua di Gallicianò resiste. Del resto l’habitat d’ogni resistenza non è sempre stata la montagna?
A chi sceglie di inerpicarsi su questo Aspromonte (Aspro Monte, appunto) Gallicianò riserba uno dei suoi doni più belli e inattesi. Una chiesetta ortodossa: dove puoi “vedere” la lingua di questo posto. Perchè qui il passato è disegnato dalle icòne sacre. La chiesetta ortodossa di Santa Maria della Grecia è affidata in custodia ai monaci del Monte Athos. E il contesto sembra ancor più desueto. O forse no. Forse non c’è alcun equivoco a sentir antichi canti liturgici greci riecheggiare tre le vette dell’Aspro-Monte. Forse la resistenza qui è normalità. Se non fosse così Gallicianò svanirebbe per tornarsene sull’Olimpo.