Luigi Carrel, il camoscio del Cervino

Dicono di lui che sulle pareti di montagna era un camoscio, sui ghiacciai navigava come un vecchio marinaio, e al vento non si opponeva mai, ma si piegava come l’erba dei pascoli. Dicono di lui che quando ridiscendeva a valle era come l’acqua delle cascate di Cheneil. A Valtournenche sanno tutto di lui. Di Luigi Carrel.

Dicono anche – di lui – che avesse due occhi piccoli piccoli, ma veloci nell’acchiappare uno sguardo. Che nella vita non gli serviva altro che la sua pipa e la sua montagna, il Cervino. E dicono, anche, che non fosse di statura eccelsa. Per tutti era il Carrellino. Ma di Luigi Carrel in Valle d’Aosta si sentono dire solo parole belle. Perchè la sua fu una storia – e una vita – bella. Di una bellezza senza equivoci.

Luigi Carrel nasce nel 1901. Figlio di una guida alpina, anche Luigi ha la passione della montagna. Anzi, del Cervino.  Negli anni Trenta (del secolo scorso) il nome di Luigi Carrel comincia a diventar famoso. Ma è negli anni Quaranta che compie le sue avventure migliori raccontate perfino dai giornali dell’epoca: quel giovanotto che indossava un berretto messo di sbieco sulla testa era nato nella piccolissima frazione di Cretaz, giù in valle. Poi si era trasferito a Cheneil, un po’ più su, sempre all’ombra del suo Cervino.

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Nel 1937 Luigi Carrel si sposa con Maria Gaspard. Dopo qualche mese parte per la Patagonia (altre montagne, altre sfide) ma al suo rientro la moglie muore per le conseguenze di un parto. Carrel sfida il Cervino. Lo fa più volte. Le salite non si contano. E solo chi ha la passione della montagna – quella vera – può capire quale fu la grandezza di questo piccolo uomo.

Il bell’equivoco è un altro. Non sta nella fama di Carrel come pionere del Cervino.

C’era la guerra nel 1943, anche in montagna. Soprattutto in montagna. C’era la guerra e c’erano i partigiani. Luigi Carrel la sua scelta l’aveva fatta. Quand’era necessario passava il confine, lasciava la Valle d’Aosta a piedi e arrivava dall’altra parte, in Svizzera. L’uomo tutto nervi e scatti, con quegli occhi irrequieti e penetranti – come lo avevano descritto in un articolo de La Stampa qualche anno prima – era un uomo di una onestà trasparente. La montagna che era stata fino a quel punto una sfida quasi fine a se stessa, adesso per alcuni era diventata una necessità da oltrepassare. Per varcare un confine e mettersi in salvo. Così la guida alpina Luigi Carrel diventa passatore: aiuta chi ne ha bisogno a varcare quel confine passando per l’aspra montagna.

Dicono di Luigi Carrel che i suoi occhi – sempre quegli occhi piccolissimi – quasi spianassero la via prima ancora che le sue mani potessero aggrapparsi alle rocce. Non era uomo troppo avvezzo a usar parole, soprattutto lontano dai chiodi e dalle corde.

Equivoco post scriptum: forse i nomi di questi luoghi di montagna e il nome stesso di Luigi Carrel a molti non dicono nulla. Ma per quei pochi che li conoscono – e li amano – suonano come il nome di una patria.

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