Piccola America senza importanza

Mi capitò un giorno d’andare in America. “America” intesa per Stati Uniti. La mia America non era New York o Los Angeles, no. La mia America era piccola piccola. E quasi senza importanza, se non fosse stato per un dettaglio: era la cittadina dov’era cresciuto George W. Bush jr.

Midland. In Texas. La città del nulla in mezzo al nulla.

Però questo nulla, manco a dirlo, se lo vendevano abbastanza bene. Al turista (diciamo così) proponevano una cosa affascinantissima: il tour dei luoghi legati alla famiglia Bush. Sette case. E solo questo per la piccola città texana si rivelava una piccola fortuna: significava poter costruite sette musei, far pagare il biglietto sette volte, e costruirci sopra un “itinerario turistico”. Sebbene alcune di queste case fossero private, l’operazione “itinerario” non arretrava: le si poteva – al limite – vedere dall’esterno. Di casa in casa l’evidenza balzava agli occhi:  col passare degli anni e il mutare delle ricchezze,  cambiavano anche le dimensioni delle case abitate dai Bush.

Di pari passo col tour delle case dei Bush, a Midland, si poteva seguire un altro itinerario: quello delle chiese. Gli edifici religiosi erano davvero tanti, ma tutti – mi verrebbe da dire – “per uomini bianchi”: presbiteriani, battisti, avventisti del settimo giorno, metodisti, anglicani,  carismatici, episcopali, e via dicendo fino a superare le duecento comunità. Come fossero mille diverse versioni della stessa fede, e mille diverse versioni di una stessa architettura.

Una chiesa, però, per il “turista” era la più importante: la cappella dove si era sposata la seconda coppia presidenziale col nome di Bush. L’anno è il 1977: George W. Bush sposa Laura e diventa metodista. E alla chiesa deve anche forse una sterzata del suo destino. Considerando quel che ha raccontato lui stesso da Presidente degli Usa: “Avevo un problema con il bere, in questo momento sarei potuto essere in un bar del Texas anziché nello studio ovale, e l’unica ragione per cui non sono lì ma qui è che ho trovato la fede…” .

M il “turista” curioso si mise a cercare una chiesa di cui aveva letto nonsodove e nonsoquando: Cowboy Church. Fondata “solo” nel 1996 da una coppia, i signori Monty e Susan Price. Una chiesa con tanto di spazio per il rodeo. Sfortuna volle che i signori Price morissero in un incidente aereo qualche anno dopo. E così la chiesa era chiusa… e l’arena per il rodeo vuota.

E allora meglio dedicarsi a qualcosa di più classico: musei.

Non si può capire la storia di questo stato del sud, quello con una sola stella sulla bandiera e che ha per motto la parola “amicizia” , se non si dà uno sguardo alla storia dei cowboy. Cosa che a Midland è possibile fare nella “Haley Memorial Library”. Il museo dei cowboy. Del resto da qui un tempo passava il West, quello vero, quello venuto prima di Hollywood.

E non si può capire la storia dei Bush senza visitare il secondo museo della città: quello del petrolio, Petroleum Museum. L’industria petrolifera da queste parti, nel Texas occidentale,  cominciò a mettersi in moto fin dagli anni Venti, ma bisogna aspettare gli anni Settanta-Ottanta per avere il vero boom. Prima un pozzo, poi un altro, con i macchinari che via via andavano cambiando e con le generazioni che andavano via via arricchendosi, facendo di Midland una specie di incarnazione architettonica del sogno americano.

Non a caso, quando nei primi anni Sessanta si cominciò a prospettare l’idea di mettere su un museo dedicato al petrolio, furono in 500 – tutti petrolieri texani – a sottoscrivere l’idea con la propria firma su un assegno. Qualcosa quella firma doveva pur significare: magari una specie di “ringraziamento” alla manna nera del sottosuolo.

E il museo è tutto un raccontare, un voler a tutti i costi raccontare, quanto bella e buona sia l’industria petrolifera, quanto utile sia l’industria petrolifera e quanto indispensabile sia – soprattutto per chi nasce nel mezzo del deserto texano – il vecchio sogno americano.

Skyline

Infine mi capitò d’entrare in una scuola elementare e fare qualche domanda a bambini di 8-9 anni. Una risposta in particolare mi rimase impressa, perchè ripetuta da più voci. Alla domanda “mi descrivi Midland?” i bambini dicevano E’ bella e sicura. So che non mi succederà niente. Posso giocare con i miei vicini di casa e so che sono al sicuro”.  Sarà stato – se non ricordo male – un paio d’anni dopo  l’11 settembre 2001. Quella parola – sicurezza –  ripetuta più volte da voci tanto giovani aveva un che di stonato, di esagerato. Quanto doveva avera paura quella piccola America senza importanza per ricordare a se stessa, laggiù in Texas, che sì s’era tutti al sicuro? E per ripeterlo incessantemente ai propri figli?

Ps: naturalmente chissà se un turista italiano è  mai davvero arrivato a Midland. Io ci andai per lavoro. E ci incontrai l’unico italiano emigrato laggiù. Aveva aperto  un ristorante e investito un po’ nel petrolio. S’era sposato e messo su famiglia. Stava bene, di soldi. Ma mi raccontò – dopo qualche bicchiere – quanto aveva dovuto faticare in una società così chiusa e razzista. Era un calabrese.

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